carnet de route
 
«Tutti mentono»  
Pioverà su Conakry  
La scomparsa di un amico  
I «Cinque Cubani di Miami»  
   
«Tutti mentono»  
   
Una giornalista televisiva molto conosciuta ha appena pubblicato un libro sulla menzogna. Non ho avuto la possibilità di averne conoscenza, ma un settimanale desidera intervistarci tutti e due su questo argomento.
All’inizio, la giornalista dichiara:
«Constato che tutti mentono».
Colui che conduce l’intervista è felice di questa frase ad effetto: «un uomo di Chiesa può solo protestare davanti ad una tale affermazione!».
Ho risposto: «La menzogna protegge e permette di sfuggire ad una situazione difficile. Nella Bibbia, Abramo, il padre dei credenti, ha mentito per salvare la sua vita. Poiché sua moglie Sara era molto bella, si è detto: “Quando sto per entrare in Egitto dove sono obbligato ad andare a causa della carestia, mi prenderanno mia moglie e mi uccideranno. L’unica soluzione per me è: far passare Sara per mia sorella” (cfr Gen 12-10-13).
Ultimamente mi trovavo presso un moribondo, un uomo di 50 anni che conosco bene. Tentava di dirmi qualcosa di importante, facendo molti sforzi per articolare. Ma non capivo e gliel’ho detto. Contrariato, tentò di nuovo di emettere alcune parole. Il suo sguardo era fisso su di me. Gli ho fatto segno che avevo capito, mentre non era vero. È morto con il suo segreto».
 
   
La giornalista affronta la menzogna in politica. «I politici fanno molte promesse che sanno irrealizzabili. Nello stesso tempo, non temono di affermare che vogliono la trasparenza».
L’intervistatore mi chiede: «La menzogna è pericolosa?».
«È pericoloso mentire a se stesso, cioè accettare di vivere con una falsa immagine di sé. É cercando di essere veri che ci liberiamo.
È pericoloso disinformare i cittadini. Recentemente, ci sono state delle fughe radioattive da una centrale nucleare. I comunicati ufficiali che cercavano di essere rassicuranti, non hanno detto la verità».
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Dopo quest’intervista, ho tuttavia desiderio di leggere il libro sulla menzogna.  
   
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Pioverà su Conakry  
   
Mi piace andare a cinema quando posso, cioè raramente. Ma ho trovato il tempo di andare a vedere un film guineano: «Il va pleuvoir sur Conakry (Pioverà su Conakry)».
Un giornalista vignettista satirico, moderno e progressista, si scontra con suo padre e suo fratello maggiore che sono molto conservatori, attaccati alle pratiche religiose ed al rispetto delle tradizioni familiari. Il giornalista è innamorato di una web designer, che non corrisponde per nulla al genere di moglie che la famiglia vorrebbe. Due universi che non possono incontrarsi. Il dramma è inevitabile.
 
   
Il va pleuvoir sur Conakry Il film mostra bene che la conoscenza fa regredire l’intolleranza. La tolleranza non è il riconoscimento dei diritti alle idee ed alle verità contrarie alle nostre?
 
   
Questo giovane giornalista ha dovuto trasgredire per trovare la sua autonomia. Ha affrontato il rischio di attraversare le frontiere della sua famiglia e della religione per costruirsi. Ha osato avventurarsi verso l’incognito. Ha compreso che alcune pratiche ed alcune tradizioni non erano al servizio della vita dell’essere umano, ma che lo imprigionavano.
Un film allo stesso tempo su ciò che libera e opprime gli esseri umani. Sempre d’attualità.
 
   
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La scomparsa di un amico  
   
Jean-Jacques se n’è andato presto, in piena estate, senza dare fastidio a nessuno.
Gli avevo telefonato poco tempo prima. Mi aveva risposto:
«Sono in auto. Vado in carcere per vedere Marina». Marina Petrella è un’italiana (ex brigatista, ndt), in sciopero della fame, minacciata di estradizione nel suo paese.
 
   
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Mi dicevo tra me e me con ammirazione:
«Quest’avvocato è malato. Ha 80 anni e prende lui stesso la macchina per andare a trovare in prigione una donna in difficoltà».
Pensavo al grande regista egiziano Youssef Chahine, che da poco ci ha lasciato. Diceva: «Vado verso la gente, non ho limiti».
 
   
Così era Jean-Jacques: un difensore dei diritti umani, senza frontiere, un avvocato delle minoranze; che si tratti dei militanti algerini in prigione che lottano per l’indipendenza del loro paese, dei Canaques della Nuova Caledonia, dei contadini del Larzac, degli obbiettori di coscienza, dei militanti anti OGM (Organismi Geneticamente Modificabili), dei disoccupati, dei prigionieri curdi, baschi o italiani minacciati di estradizione. Quante volte Jean-Jacques mi ha detto: «Non potresti venire in tribunale? Sarebbe bene che tu fossi presente».  
   
Al cimitero Père-Lachaise a Parigi, nel caldo mite di un pomeriggio di agosto, la folla si affolla al crematorio. Come mi sembra senza vita e senza bellezza questo luogo!
Gli interventi si succedono, troppo numerosi. Quando è venuto il mio turno, ricordo che Jean-Jacques non ha smesso di uscire, fino alla fine della sua vita, per recarsi là dove degli uomini o delle donne erano in pericolo. Fino all’ultimo, avrà incontrato l’essere umano. Non andrà più lontano.
disparition d'un ami
 
   
   
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I «Cinque Cubani di Miami»  
   
Sono invitato all’Ambasciata di Cuba a Parigi per la festa dell’Indipendenza. Facendo parte del comitato internazionale di solidarietà per i «Cinque di Miami», si sono creati dei legami con alcuni Cubani dell’Ambasciata. La storia dei «Cinque» è incredibile!
Innanzitutto ricordiamo che due uomini, Luis Posada Carriles e Orlando Bosh, hanno fatto esplodere nell’ottobre 1976 un aereo di linea che collegava Caracas e l’Avana, causando la morte di 73 passeggeri.
Questi due terroristi conoscono la più totale impunità.
 
   
cinq Cubains de Miami Quanto ai «Cinque di Miami», agenti dei servizi segreti cubani, si trovavano in Florida, precisamente per sventare degli attentati terroristi contro Cuba.
 
   
Questi sono coloro che sono stati arrestati nel 1998 e condannati a pene che vanno dai 15 anni di carcere all’ergastolo. Crediamo di sognare!
Sono accusati di mettere il pericolo la sicurezza degli USA. Pagano con la loro libertà la lotta contro il terrorismo, in prigioni di massima sicurezza. È un processo politico.
Già dieci anni di prigione. Dramma delle famiglie che trattano in maniera inumana. Spose che non hanno ancora ricevuto un permesso di visita.
Fortunatamente la solidarietà internazionale si è organizzata. A tutt’oggi, più di 200 comitati di solidarietà si sono costituti per il mondo per chiedere che giustizia sia fatta.
Tony, uno dei «Cinque», scrive:
«Quando vedo le guardie, la prima cosa che faccio è sorridere. Per far credere loro che sono contento, mentre muoio dentro di me».