carnet de route
 
Lo chiamavano «Moustache»  
Piazza della Repubblica  
Salvare l’onore e la salute di un uomo  
Prigionieri politici tunisini  
   
Lo chiamavano «Moustache»  
   
ami Partecipava a tutte le manifestazioni. Sempre in rivolta a fianco degli immigrati e di coloro che hanno un alloggio precario. Nel mondo degli esclusi si conosceva bene «Moustache», questo combattente delle ingiustizie, questo militante del partito comunista.
Lo vedevo solo «fuori», nelle strade, nelle piazze, in mezzo ai manifestanti, con i suoi capelli bianchi ed i suoi folti baffi. Non aveva paura di arringare la polizia con il casco e con le armi che restava impassibile davanti a lui.
Per la prima volta l’ho incontrato in un letto d’ospedale, colpito da un cancro che ha avuto presto ragione di lui.
«Moustache» è morto nella pace. Non era credente, ma aveva il suo posto nel cuore dei poveri.
 
   
Nel celebre cimitero del Père Lachaise, per la cerimonia di addio è presente il mondo degli umili: donne africane delle periferie con i loro figli, famiglie senza casa, stranieri regolarizzati che si ricordano di «Moustache» e molti immigrati irregolari.  
   
La famiglia ed i parenti sono invitati ad entrare nella sala adiacente al cimitero, mentre la folla resta fuori. Vicino al feretro alcuni responsabili del partito comunista, alcuni compagni di lotta, alcuni amici prendono la parola con emozione. Mi chiedono d’intervenire. Condivido una parola di speranza che abita dentro di me: «Chi ci riunisce non ha mai rinunciato agli altri. Lottando tutta la sua vita contro l’ingiustizia, «Moustache» ha fatto un bel cammino. Ha sempre tenuto la mano dei poveri. C’è una maniera di vivere e di morire che non conduce alla morte».  
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Piazza della Repubblica  
   
manifestation Questa celebre piazza parigina è il luogo abituale dei raduni ed il punto di partenza delle manifestazioni. È cara al cuore dei cittadini perché è qui che il popolo ama rivendicare i suoi diritti e le sue libertà.
 
   
La caccia ai sans papiers è diventata pratica corrente. La polizia organizza una retata in piazza della Repubblica: 21 sans papiers sono presi in trappola mentre andavano a cercare un pasto distribuito dai «Restos du coeur» [organizzazione fondata dall’attore francese Coluche nel 1985: una mensa gratuita per produrre ogni giorno fino a tremila pasti, ndt].
Si sa, purtroppo, che non ci sono più luoghi protetti, né in una chiesa nella quale i sans papiers cercano rifugio, né in una scuola che frequentano i loro figli, né all’ospedale dove vanno a farsi curare, né in piazza della Repubblica dove prendono un pasto. La polizia entra dappertutto. Arresta dappertutto.
 
   
In ogni momento i sans papiers sono abitati dalla paura. I figli hanno paura che i loro genitori siano arrestati dalla polizia quando vanno al lavoro o prendono il métro.
arrêter par la police
 
   
Un raduno è organizzato senza indugio in piazza della Repubblica per denunciare questo scandalo: nel momento in cui alcuni sans papiers prendono un modesto pasto, il solo della giornata per alcuni di loro, la polizia ne approfitta per arrestarli. Nella Piazza della Repubblica!  
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Salvare l’onore e la salute di un uomo  
   
Arrivo nella stazione di Lione. Alcune persone che non conosco ma che mi hanno invitato a venire, mi accolgono con simpatia. È il comitato di sostegno ad uno che fa lo sciopero della fame (è al 51 giorno).  
   
Si tratta di un incaricato della disciplina [figura professionale non docente specifica delle scuole francesi, ndt] che, nel 2003, è entrato in conflitto con la direzione del suo liceo in occasione di uno sciopero della fame dei sorveglianti. Si è opposto alla sostituzione dei sorveglianti in sciopero con alunni maggiorenni. La sanzione non ha tardato a colpire: trasferimento in un’altra accademia.
éducation
 
   
Il comitato di sostegno si indigna: «Non si può continuare a colpire un uomo che ha semplicemente difeso la giustizia con tenacia, fino all’estremo limite. La sua dignità di padre di famiglia è beffata. La sua lotta dura da tre anni e mezzo!».
Ma non si muove niente. Non è dato nessun segnale. I responsabili restano silenziosi.
 
   
comité de soutien Il métro ci conduce al luogo della manifestazione. Davanti al tribunale amministrativo c’è già molta gente, così come uno spiegamento di poliziotti.
 
   
I media sono presenti. Subito vengono verso di me e mi fanno la domanda banale che ascolto dappertutto: «Perché è qui?».
«Sono venuto tra di voi perché sono in gioco l’onore e la salute di un uomo. Il trattamento inumano delle misure prese nei confronti di Roland mi rivolta. Prima che sia troppo tardi, è urgente che i responsabili si facciano vivi».
 
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Prigionieri politici tunisini  
   
Una serata di sostegno è organizzata in loro onore. Alcuni Tunisini della regione parigina si sono radunati in una grande sala per rendere omaggio al coraggio ed alla determinazione di questi prigionieri. Serata carica di molta emozione.
Ritrovo con piacere Adel, un compagno di lotta, Moncef, infaticabile nella sua denuncia del potere tunisino, Radia Nasraoui, celebre avvocata di Tunisi, sempre sulla breccia, e tanti altri…
 
   
prisionniers politiques Alla tribuna prendono la parola alcune famiglie venute specialmente da Tunisi. Il dramma dei prigionieri è il dramma della famiglie.
Una donna parla di suo marito prigioniero da due anni e mezzo. Come giornalista, aveva osato criticare la politica del suo paese e denunciare la tortura.
 
   
Un padre di 77 anni dà notizie di suo figlio: «Sono otto anni e mezzo che mio figlio è in prigione. In questo periodo ha fatto 1100 giorni di sciopero della fame! Ogni settimana mi reco alla prigione. Il tragitto è molto lungo. Una volta sul posto, aspetto due ore all’esterno, sotto il sole d’estate e sotto la pioggia ed il vento d’inverno. Non sono mai mancato ad una sola visita. Ma oggi sono sei settimane che non l’ho visto. Quando arrivo alla prigione mi rimandano indietro senza spiegazioni. Mio figlio deve essere gravemente ammalato».
Preso dall’emozione, questo padre interrompe la sua comunicazione.
Una donna parla di suo fratello imprigionato all’età di 31 anni. Sono già 15 anni che è in prigione. È stato torturato più volte.
Questa donna dichiara che non ha più paura, né delle autorità, né di nessuno. Chi potrebbe impedirle di parlare? Un video mostra un detenuto venuto a morire nella sua famiglia. La prigione l’ha lasciato senza cure. Lo lascia uscire quando la morte è vicina. È l’usanza.
 
   
Dopo queste testimonianze sono commosso nel prendere la parola: «Un regime che stritola delle vite e distrugge delle famiglie è un regime che ha paura e che cerca di mantenersi in ogni modo. La Tunisia è diventata un’immensa prigione per tutte le persone che alzano la testa e difendono le libertà ed i diritti umani. Il popolo che ha paura, tace e subisce. Fino a quando?».
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