Lettera di Jacques Gaillot
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Eutanasia
All'ospedale una donna anziana che andavo a trovare mi ha detto: "Non ho paura della morte, la desidero. Ma quello che non accetto è la sofferenza. Non pensavo che si potesse soffrire tanto". Come può accadere che oggi, in un grande ospedale, non si possa lenire il dolore dei pazienti? Forse che dei medici onnipotenti, addestrati a guarire, non accettino di preparare alla morte? Si continua a curare fino al limite estremo senza prendere in considerazione la fine della vita. Sempre all'ospedale vado a vedere un giovane che è ammalato gravemente: "Il personale curante è molto gentile e competente, mi dice, ma passa rapidamente e non si parla altro che delle cure. Mi piacerebbe parlare d'altro con loro, ma sento che non è possibile. L'altro giorno mi trovavo in un tale stato di solitudine che desideravo vedere l'infermiera semplicemente posare la sua mano sulla mia fronte". Solitudine degli ammalati. Dialogo inesistente., mentre i malati si trovano di fronte alle questioni essenziali della vita e della morte. All'ospedale la morte è diventata una questione di medicina, che sfugge sovente ai malati. Il diritto di morire in dignità non è forse dare ad ognuno e ad ognuna il proprio posto nella fine della sua esistenza? Facendosi carico del loro dolore e accompagnandoli giorno dopo giorno, per rompere la loro solitudine? Aiutandoli a guardare in faccia l'avvenimento capitale della loro morte per poter viverla in dignità? Dare medicine per provocare la morte non mi sembra rispettare la dignità
dei malati. Fare tutto il possibile perché non soffrano e accompagnarli
fino alla fine, non è forse farli morire dignitosamente?
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