carnet de route
 
La morte di un profeta  
Un padrinato repubblicano  
Inaugurazione della Piazza Generale de Bollardière  
Processo Colonna  
   
La morte di un profeta  
   
Ho avuto la fortuna di incontrare in Belgio Jacques Vallery. Più di 20 anni fa.
Giovane prete redentorista, pieno di talenti, apriva sentieri nuovi nella libertà che dà il Vangelo. Teologo impegnato e mistico, sentiva l’imperioso bisogno di far conoscere un cristianesimo nel quale Dio è liberato dal bisogno che si creda in lui. Grazie a lui, molti credenti hanno scoperto con gioia una pratica del Vangelo che trasformava la loro vita.
Jacques sentiva la passione per la giustizia e l’uguaglianza tra tutti gli uomini. Non sopportava l’ingiustizia. Il suo rispetto dell’autonomia di ognuno faceva sì che l’altro passava sempre davanti a lui.
 
   
Ma molto presto quest’uomo libero divenne sospetto agli occhi dell’autorità ecclesiastica che gli ritirò la sua fiducia. Come poteva essere diversamente? I responsabili non possono sopportare a lungo quelli che danno fastidio e rimettono in discussione la maniera di vivere e di pensare nella Chiesa. Gli fu vietato l’insegnamento, fu umiliato, respinto, lo fecero ammalare; allora Jacques capì che per lui non c’era più posto nel suo paese.
L’autorità religiosa ha demolito quest’uomo.
humilier
 
   
perdu en désert Colui che amiamo è allora andato in Africa, nel Burkina Faso insieme ad amici su due camionette piene di attrezzature. Ma non sono mai arrivati a destinazione, perduti in pieno deserto in seguito ad una tempesta di sabbia. Morti di sete e di inaridimento sotto un sole torrido.
Jacques non ha potuto raggiungere una terra di speranza per seminare di nuovo in cuori disponibili.
 
   
In Belgio, a Mons eravamo numerosi il 10 novembre scorso a ritrovarci per celebrare la sua memoria nel ventennale della sua morte. Con alcune testimonianze che mostravano la novità del vangelo vissuto da tutti quelli che sono stati segnati da Jacques. L’ingiustizia che gli è stata fatta non ha potuto impedire alla sua parola di essere sempre ascoltata ed accolta.  
   
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Un padrinato repubblicano  
   
parrainage In un locale della periferia di Valenza (Francia) un pubblico giovane e numeroso si è radunato accanto agli stranieri immigrati venuti per ricevere il padrinato. I bambini si sentono in liberta e corrono dappertutto. Alcune donne fanno uno sketch sul palcoscenico, con maschere sui loro visi. Regna un’atmosfera di festa. Sono felice di essere tra di loro.
 
   
Prima di presiedere questa cerimonia di padrinato, prendo la parola. Siamo legati agli immigrati che sono essere umani come noi. Se toccano loro, toccano noi. Se oggi attaccano i loro diritti, domani attaccheranno i nostri.
Per due ore alcuni consiglieri, muniti della loro fascia municipale, si succedono chiamando degli immigrati con i loro padrini. Recitano questa formula applaudita ogni volta:

«I nostri diritti sono anche i vostri. Vi accogliamo oggi per fare in modo che il futuro abbia un senso per voi e che la vostra vita sia rispettata nella sua dignità».
Su una tessera personalizzata ognuno, ognuna mette la sua firma.
 
   
Quest’impegno, che ha un valore simbolico e non giuridico, lega gli immigrati ai loro padrini. Si sentono solidali, vicini. Ci si comunica il numero di cellulare. Si sapranno delle notizie. L’immigrato non è più un isolato.
Durante questo tempo, al fondo della sala il buffet conosce un vero successo. Le famiglie hanno messo in comune tutto quello che hanno portato. Tutti vanno a scegliere ciò che vogliono senza pagare niente. È un buffet inesauribile!
fêter ensemble
 
   
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Inaugurazione della Piazza Generale de Bollardière  
   
A Parigi, vicino alla Scuola militare, è un bel simbolo l’inaugurazione di questa piazza. Il generale de Bollardière, comandante della Liberazione, ha osato, in piena guerra d’Algeria, denunciare la tortura praticata dall’armata francese. Spezzare questo tabù era intollerabile. Il generale più decorato dell’armata ha parlato, in coscienza, per l’onore della Francia e dell’Algeria, per difendere la dignità dell’uomo. Questo cristiano convinto non poteva tacere.
Si è fatto subito sessanta giorni di carcere. Ritornato in Francia con la reputazione di essere un traditore, ha messo fine alla sua carriera militare ed ha perso i suoi amici.
Ho avuto l’occasione di incontrarlo andando con lui al tribunale di Nîmes per la difesa di un ufficiale obiettore per le armi nucleari.
 
   
Jacques de Bollardière Jacques de Bollardière era diventato un militante della non violenza ed interveniva davanti ad uditori vari in tutta la Francia.
Sul luogo dell’inaugurazione duecento persone circa si ritrovano sotto una grande tenda bianca. Il sindaco di Parigi parla con calore e convinzione. La moglie di Jacques de Bollardière, anch’essa infaticabile militante della non violenza, manifesta la sua gioia di vedere onorata la memoria di suo marito. Dopo circa sessanta anni di oblio, quest’inaugurazione è benvenuta.
 
   
Sono presenti alcuni algerini, così come alcuni reduci della guerra di Algeria. Un tramite simbolico della fraternità sempre ricercata tra le due rive del Mediterraneo.  
   
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Processo Colonna  
   
Alla quarta settimana del processo i testimoni continuano a succedersi alla sbarra. Passo quattro ore nella grande sala delle Corti di assise speciali, nella quale sono convocati alcuni membri del commando che hanno partecipato all’assassinio del prefetto della Corsica.  
   
procès de Colonna La sala è piena. Molti sono in piedi. Altri attendono fuori di poter entrare. I media si danno da fare per coprire l’evento. Ho la fortuna di avere un posto seduto.
Nella gabbia degli imputati Yvan Colonna segue con estrema attenzione le dichiarazioni del commando.
 
   
Il Presidente si mostra rispettoso verso l’imputato ed i testimoni. Li mette a proprio agio, li lascia parlare, pone delle domande giudiziose con talvolta un briciolo di humor. Ammiro il modo con cui conduce il processo.
Gli avvocati della difesa e quelli della parte civile prendono la parola a loro volta. È bello che la giustizia si dia i mezzi per fare luce su un dramma che è successo quasi dieci anni fa.
Uno dei momenti forti per me è stato l’intervento di un membro del commando:
«Conosco bene Yvan Colonna. Sono e resto convinto che, se avesse partecipato, avrebbe riconosciuto la sua partecipazione».
Questo non basta a Yvan Colonna che prende subito il microfono: «Voglio parlarti francamente. Mi hanno accusato a torto, tu lo sai, tu. Ora, ti chiedo di dire la verità, che io non ero presente. È necessario che tu spieghi perché non avete detto niente e perché avete aspettato tanto…»
«So che sei un uomo d’onore. Se avessi partecipato a quest’azione, l’avresti rivendicata. Pertanto, confermo che tu non c’eri e non facevi parte del gruppo».

Yvan Colonna si rimette a sedere. Il suo volto mostra che non è soddisfatto. Avrebbe voluto più spiegazioni. Non ne avrà più.